Raffigurazione araldica dell’emblema: «D’azzurro al ponte di tre archi al naturale, caricato al di sopra di quello centrale, più alto, da una lettera M cimata da una croce di nero, e cimato da una cinta muraria con tre torri al naturale, sormontato dalla colomba dello Spirito Santo raggiante d’oro».
|
Sul varco attualmente presente tra i due fabbricati, impropriamente definiti Bastioni di Santo Spirito, le cui possenti facciate contrapposte, in stile eclettico, sono state realizzate nel 1893-94 su progetto dell' ing. Umberto Tavanti, era posta la barriera darziaria a cancelli intitolata a Vittorio Emanuele II. Ma in precedenza, sin dal 1548-50, sorgeva in questi punto la Porta Santo Spirito della cinta muraria medicea, il cui abbattimento, approvato in Consiglio Comunale nel 1891, era stato eseguito nel 1893 nell' ambitoi un piano di risanamento di cui fu incaricato lo stesso Tavanti. A testimonianza di questo, l' edificio a ponente reca la targa in travertino fatta apporre dal granduca Cosimo I intorno al 1560, al termine dei lavori di rinnovamento delle mura (COSMVS MED. FLORENTIE ET SENAR. DVX II). Collocata al termine del Borgo Maestro, la principale arteria cittadina, la porta urbana, denominata anche Porta Romana, si eleva in posizionesud-ovest, in direzione della valdichiana e di Roma. Traeva la denominazione dell' antico monastero di Santo Spirito, per monache Clarisse, che dal 1262 al 1550, qui aveva avuto la sua seconda sede urbana. L'antica porta, la cui raffigurazione è rilevabile da foto storiche, comprendeva, all' internodell' antiporto, un grande arco in bozzato litico che, smontato, sarà ricostruito come portale del recinto di accesso al piazzale del santuario di Santa Maria delle Grazie. Sul Lato esterno, superiormente all' apertura, una nicchia accoglieva, a protezione della città, la trecentesca statua in pietra della Madonna del Bambino, ora conservata nel Palazzo comunale, eseguita al tempo dal vescovo Guido Tarlati e già collocata sulla porta della cinta trecentesca, la cui ubicazione era in posizione molto più avanzata a sud-ovest. Il grande antiporto presentava al piano superiore un vasto stanzone, utilizzato per accasermare le truppee, nel corso del tempo, adibito a vari usi: deposito di biade, fabbrica di tessuti di lana e temporaneamente, mentre nel palazzo delle logge era in restaurazione il Teatro di Fraternita, anche a sala teatrale (1743-17739 sotto la denominazione di Teatro Piccolo, ove si rappresentavano ostacoli di marionette e di funamboli, accogliendo un pubblico meno raffinato. L' edificio realativo alla parete est, è oggi la sede del ns. Quartiere.
|
Giacomo di Zebedeo, detto anche Giacomo il Maggiore, san Jacopo o Iacopo (... – Giudea, 43 o 44), fu uno dei dodici apostoli di Gesù. Figlio di Zebedeo e di Salome, era il fratello di Giovanni apostolo. È detto "Maggiore" per distinguerlo dall'apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo detto "Minore". Secondo i vangeli sinottici Giacomo e Giovanni erano assieme al padre sulla riva del lago quando Gesù li chiamò per seguirlo. Stando al Vangelo secondo Marco, Giacomo e Giovanni furono soprannominati da Gesù Boanerghes ("figli del tuono") per sottolineare l'inesauribile zelo di cui erano dotati questi apostoli, ma anche il loro temperamento impetuoso[2]. Giacomo fu uno dei tre apostoli che assistettero alla trasfigurazione di Gesù. Secondo gli Atti degli Apostoli fu messo a morte dal re Erode Agrippa I.
È venerato da tutte le chiese cristiane che riconoscono il culto dei santi.
Fonti storiche
Non esistono riferimenti archeologici diretti (come epigrafi) riferibili con assoluta certezza alla vita e all'operato di Giacomo, e nemmeno riferimenti diretti in opere di autori antichi non cristiani. Le fonti testuali pervenuteci sono di due tipi:
i testi del Nuovo Testamento, in particolare i quattro vangeli canonici e gli Atti degli apostoli. Redatti in greco tra il I secolo e la prima metà del II, contengono gli unici riferimenti diretti alla vita di Giacomo.
alcuni accenni contenuti negli scritti di alcuni Padri della Chiesa.
Al pari degli altri personaggi neotestamentari, la cronologia e la vita di Giacomo non ci sono note con precisione. I testi evangelici lo indicano come un fedele seguace del maestro, ma il periodo precedente e seguente alla sua partecipazione al ministero itinerante di Gesù (probabilmente 28-30, vedi data di morte di Gesù) è ipotetico e frammentario.
La vita
Niccolò e Piero Lamberti, Decollazione di san Jacopo, Firenze Orsanmichele
Giacomo viveva, e probabilmente vi era nato, a Betsaida, una località galilaica sita sul Lago di Genesaret; era pescatore sul lago di Tiberiade insieme al padre, Zebedeo; sua madre era Salome e aveva (almeno) un fratello, Giovanni. Sempre rimanendo nel campo delle ipotesi, si può supporre che la famiglia di Giovanni appartenesse al ceto medio, ed è possibile che la madre Salomè facesse parte del seguito di agiate donne che provvedevano alle necessità economiche del gruppo itinerante. Il fatto che nelle liste stereotipate degli apostoli nei sinottici (ma non negli Atti) Giovanni segua Giacomo, o che quest'ultimo venga spesso indicato come "figlio di Zebedeo", mentre Giovanni sia indicato come suo fratello, può lasciare concludere che Giacomo fosse il fratello maggiore. Oppure per distinguerlo dall'altro apostolo Giacomo.
Giovanni e Andrea furono, secondo il quarto vangelo (scritto, secondo la tradizionale identificazione cristiana, dallo stesso Giovanni), i primi discepoli di Gesù, che essi seguirono dopo che Giovanni Battista lo aveva indicato loro come il Messia. Il loro incontro avvenne subito dopo il battesimo di Gesù, probabilmente nell'anno 28 (o nel 31 secondo alcuni). Ai due si unirono quasi subito i rispettivi fratelli, Giacomo e Simone (Pietro).
Nasce poi il collegio apostolico; Gesù ne costituì Dodici che stessero con lui: Simone, al quale impose il nome di Pietro, e, subito al secondo posto dopo di lui, Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo.
Il solo Luca riporta un episodio che sottolinea il carattere focoso dei fratelli Giacomo e Giovanni. Un villaggio samaritano (ebrei considerati scismatici) aveva rifiutato ospitalità a Gesù e i figli di Zebedeo propongono la sua distruzione tramite un "fuoco discendente dal cielo", attirandosi il rimprovero del maestro.
Sia Matteo, che introduce l'intermediazione della madre Salome, che Marco riportano un episodio che indica il carattere ambizioso dei due fratelli. Questi avevano probabilmente una visione terrena del Regno predicato da Gesù e si aspettavano, in quanto particolarmente favoriti tra i suoi seguaci, un ruolo privilegiato in esso. Alla richiesta Gesù risponde evasivamente con l'assicurazione che "berranno il suo calice", cioè che gli saranno associati nella sofferenza e nel martirio. Giacomo verrà effettivamente martirizzato attorno al 44.
Insieme agli altri apostoli, Giacomo e Giovanni accompagnarono Gesù durante la sua vita pubblica, e alcuni episodi mostrano come Giacomo facesse parte della cerchia dei tre più fidati. Con Pietro fu testimone della trasfigurazione, della resurrezione della figlia di Giairo e dell'ultima notte di Gesù al Getsemani. Come appare evidente, sono tre situazioni molto diverse: in un caso, Giacomo e gli altri due apostoli sperimentano in modo diretto la gloria del Signore, vedendolo a colloquio con Mosè ed Elia; in occasione della resurrezione della figlia di Giairo, assistette ad uno dei miracoli più toccanti compiuti dal Maestro e ancora, al Getsemani, si trovò di fronte alla sofferenza e all'umiliazione di Gesù, al suo aspetto più umano. Vide come il Figlio dell'Uomo si umiliò, facendosi obbediente fino alla morte.
Dopo la morte e la resurrezione di Cristo, Giacomo assunse un ruolo di spicco nella comunità cristiana di Gerusalemme. Una tradizione risalente almeno a Isidoro di Siviglia narra che Giacomo andò in Spagna per diffondere il Vangelo. Se questo improbabile viaggio avvenne, fu seguito da un ritorno dell'apostolo in Giudea, dove, agli inizi degli anni quaranta del I secolo il re Erode Agrippa I «cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni». Giacomo fu il primo apostolo martire.
Il culto
L'interno della Cattedrale di Santiago de Compostela, con l'altare di San Giacomo.
Dopo la decapitazione, secondo la Legenda Aurea, i suoi discepoli trafugarono il suo corpo e riuscirono a portarlo sulle coste della Galizia. Il sepolcro contenente le sue spoglie sarebbe stato scoperto nell'anno 830 dall'anacoreta Pelagio in seguito ad una visione luminosa. Il vescovo Teodomiro, avvisato di tale prodigio, giunse sul posto e scoprì i resti dell'Apostolo. Dopo questo evento miracoloso il luogo venne denominato campus stellae ("campo della stella") dal quale deriva l'attuale nome di Santiago de Compostela, il capoluogo della Galizia. Eventi miracolosi segnarono la scoperta dell'Apostolo, come la sua apparizione alla guida delle truppe cristiane della reconquista nell'840, durante la battaglia di Clavijo e in altre imprese belliche successive, le cui vittorie sui musulmani gli meritarono nella fantasia popolare altomedievale il soprannome di Matamoros (Ammazzamori), che comunque perdurò e rimane.
La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi nel Medioevo, tanto che il luogo prese il nome di Santiago (da Sancti Jacobi, in spagnolo Sant-Yago) e nel 1075 fu iniziata la costruzione della grandiosa basilica a lui dedicata.
Il pellegrinaggio a Santiago, lungo preferibilmente il suo "Cammino", divenne uno dei tre principali pellegrinaggi della Cristianità medievale. Gli altri erano quelli che portavano a Gerusalemme, alla tomba di Gesù e a Roma, alla tomba dell'apostolo Pietro, facendo assurgere la figura del vescovo di Santiago al livello delle più importanti figure della Cristianità.
Nella chiesa cattolica san Giacomo il Maggiore è festeggiato il 25 luglio.
|
Grazie ai contributi congiunti di Banca Etruria, del Comune di Arezzo e della Circoscrizione di Saione, il Quartiere di Porta S. Spirito è riuscito a raggiungere l’obbiettivo di realizzare nel Bastione di Ponente il proprio Museo, restituendo nuova dignità ad un immobile di grande valore storico ed architettonico.
I lavori di restauro sono iniziati nel Gennaio 2008 e sono proseguiti fino quasi alla fine dell’anno 2013. L’intervento, nel suo complesso, è stato molto impegnativo sia dal punto di vista pratico che da quello economico. Nello specifico sono state rimosse tutte le superfetazioni edilizie che erano state realizzate intorno agli anni ’70, è stato realizzato un nuovo servizio igienico accessibile ai disabili nella zona d’ingresso a piano terra, è stata messa in opera una piattaforma servoscala che permette di collegare la zona d’ingresso a piano terra e le sale poste a piano primo, sono stati restaurati tutti gli infissi esterni ed interni, è stata posata nuova pavimentazione in resina eco-malta in tutti i vani del museo, sono stati tinteggiati tutti i locali. Nel salone principale, a ridosso delle pareti perimetrali, sono state realizzate delle strutture in cartongesso per l’esposizione delle lance d’oro e dell’albo d’oro. Dal punto di vista impiantistico sono statirealizzatinuovi impianti idraulico ed elettrico, impianto di allarme, impianto di diffusione sonora e impianto video, è stata realizzata la predisposizione per la messa in opera di impianto di videosorveglianza e la predisposizione per l’impianto di climatizzazione.
All’interno del Museo, oltre a tutte le lance d’oro conquistate dal Quartiere di Porta S. Spirito dal 1931 ad oggi, possiamo trovare esposti costumi della Giostra del Saracino appartenenti ad epoche diverse: alcuni realizzati nel 1934 da Luigi Spinelli detto “Caramba”, altri realizzati nel 1956 da Nino Vittorio Novarese ed anche alcuni costumi che vengono utilizzati ancora oggi, come i cimieri del Capitano e dei Cavalieri di Casata. Oltre ai costumi storici sono esposti i vecchi vessilli, le varie bandiere di rappresentanza del Quartiere ed alcune suppellettili di valore storico. All’interno del salone vengono proiettati filmati che raccolgono immagini della storia della Giostra del Saracino e della vita che si svolgeva e si svolge al Quartiere di Porta S. Spirito. Oltre a visite turistiche e gite scolastiche è possibile organizzare mostre, esposizioni e conferenze che riguardano la vita e la storia del Quartiere, della Giostra del Saracino e non solo, come l’ormai consolidata “Borsa di studio Edo Gori” che già si svolge all’interno del Museo.
|
L' Albo d'oro ricostruito da Lorenzo Alberti
|
|
ALBERGOTTI
Appartengono a quel ceto "capitaneale" di Arezzo che poco dopo il Mille ha un ruolo fondamentale nella nascita del Comune. Giungono a posizioni apicali nel Trecento quando danno più volte il Vescovo alla città e quando, dopo aver vanamente provato ad impossessarsi della Signoria di Arezzo, portano durevolmente la città sotto la dominazione fiorentina. Da allora si mantengono ai vertici della vita politica municipale fin quasi ai giorni nostri, passando indenni attraverso i più diversi regimi. Famiglia particolarmente numerosa, ha palazzi sparsi per tutta la città.
AZZI
Secondo la tradizione gli Azzi hanno una comune origine longobarda con gli Este di Ferrara. Intorno al Mille li troviamo radicati a sud di Arezzo, dove i loro possessi si intrecciano con quelli della potente abbazia benedettina di Santa Fiora. Appartengono alla famiglia un vescovo di Arezzo, un mitico podestà del Comune e la leggendaria figura di Ippolita, che difese Arezzo dopo la rotta di Campaldino. Benché ghibellino e "magnatizio", il consortato giunge fino all'inizio dell'Ottocento, quando dal suo ceppo si originano le due famiglie degli Azzi-Vitelleschi e dei Vitelleschi-Azzi.
CAMAIANI
E' una famiglia di mercanti-imprenditori, originaria di un casolare vicino ad Arezzo. Guelfi e "popolari", i Camaiani giungono ai vertici della vita politica cittadina alla metà del Trecento, al tempo della prima dominazione fiorentina. All'inizio del Cinquecento sono tra i protagonisti delle ribellioni filomedicee di Arezzo a Firenze. Nello stesso secolo escono dal loro seno importanti figure di ecclesiastici, fra cui un vescovo di Fiesole e di Ascoli. Si estinguono alla metà del Seicento, ma il loro nome sopravvive in quello della famiglia Guelfi-Camaiani.
GUASCONI
Fra le diverse ipotesi formulate sulla loro origine, la più accreditata li vuole originari di Arezzo e ad essi apparterrebbe il Sant'Andrea martirizzato nel quarto secolo, che dà il nome ad un Quartiere della città. Arricchitisi con il prestito del denaro ed il commercio dei panni, sono una delle principali famiglie di quel "popolo della media gente guelfa" che ha un ruolo fondamentale nell'Arezzo del Trecento. Il tracollo del banco e l'eccessiva frammentazione sono le cause del collasso che colpirà la famiglia durante il XV secolo.
TOLOMEI DEL CALCIONE
La famiglia Tolomei è un’antica famiglia di origine senese. Di parte ghibellina. L’origine del nome viene addirittura legata all’egiziana Dinastia Tolemaica, come appunto millantato in epoca medievale dalla famiglia , i cui antenati giunsero probabilemente in Italia con Carlo Magno.
La leggenda mitologica vuole che dall’unione di Gaio Giulio Cesare P.M. della Repubblica Romana e Cleopatra VII Regina d’Egitto ebbe natale Tolomeo XV detto Cesarione unico figlio maschio di Cesare, erede al trono Imperiale Romano.
Dopo la morte di Cesare venne portato davanti al Senato Romano da Marco Antonio fedele generale ponendolo come successore per linea diretta della Gens Iulia (Antichissima Famiglia per la quale si attribuisce la fondazione di Roma attraverso Romolo) e avente di diritto il trono Imperiale Romano. Ma il Senato Romano non avendo mai riconosciuto il matrimonio di Cesare con la Regina Cleopatra pone Ottaviano nipote di Cesare e figlio adottivo come Imperatore.
Ottaviano lo condanna a morte per paura di una sua ritorsione in età adulta, ma Marco Antonio fece uccidere il cugino Tolomeo XV per le sue uguale somiglianze e lo nascose nella maremma toscana dove in seguito fonderà la dinastia che, per alcuni studiosi è ritenuta reale, dei Tolomei abili banchieri del medioevo.
Il primo appartenente alla famiglia di cui si hanno notizie certe è Baldistricca nel 1121: Nel XII secolo erano una ricchissima famiglia di mercanti a Siena e a quest’epoca risale il famoso Palazzo Tolomei di Siena.
In seguito alle tormentate vicende politiche senesi , nelle quali la famiglia era molto attiva, patteggiando molto vigorosamente per la parte ghibellina, per diverse volte nei secoli, furono esiliati dalla città di Siena. Ed ecco perché troviamo appounto la una casata Tolomei nell’aretino , proprio ai confini con i territori della Valdichiana senese-aretina. Ovvero nel Calcione, nel pressi di Lucignano .
Fa parte di questa nobile famiglia la mitica figura di Pia De’ Tolomei. Figura femminile ricordata da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Descritta nel Canto V del Purgatorio come una donna molto dolce la quale è stata uccisa da suo marito.
PAZZI DEL VALDARNO
La famiglia Pazzi, di origine fiorentina di Fiesole. Il primo ceppo di questa casata fu guelfo. Risalente secondo la leggenda al condottiero Pazzo di Riniere. Tranne una parte della famiglia, distaccandosi dal resto della parentela, di parte guelfa, nel periodo medievale si schierò invece , in maniera a dir poco decisa dalla parte ghibellina, ed andò a risiedere nel Valdarno aretino.
E si prese a cuore le vicissitudini politiche della città di Arezzo. I Pazzi della fazione
ghibellina si imparentarono con gli Ubertini (anch’essa gloriosa e potente casata ghibellina). Il castello di Laterina e la casa-castello di Poggitazzi furono loro roccaforti. Inoltre è storicamente documentato che certo Iacopo de Pazzi combattè contro i fiorentini nella battaglia di Montaperti (1260).
Ed è in questo contesto storico qui che si inserisce un personaggio molto importante della casata Pazzi di Valdarno.
Ossia Guglielmo De’ Pazzi di Valdarno (prima del 1230-Campaldino di Poppi, 11 giugno 1289). Detto Guglielmo Pazzo, il quale fu condottiero italiano di parte ghibellina. Era figlio di Ranieri de Pazzi, anche lui famoso capitano e condottiero della parte ghibellina, nonché vicario imperiale della parte ghibellina. Ed altresì legato da stretta parentela con il Vescovo e Signore d’Arezzo Guglielmo degli Ubertini. In quanto Guglielmo Pazzo era nipote del Vescovo Ubertini. Nel 1268 i Pazzi erano in guerra contro i fiorentini per il possesso dei vari territori valdarnesi. Truppe guelfe in arrivo da Firenze assalirono i castelli di Poggitazzi, Montefortino e Ristruccioli- Dopo lunghissimi assedi e violente battaglie i fiorentini furono sconfitti e costretti a lasciare l’intero valdarno in mano aretina.
Queste esperienze di combattimento fecero acquisire la fama tra i ghibellini di Guglielmo Pazzo, il quale ne divenne capitano. Si recò in Romagna per combattere al fianco dei ghibellini di quei territori insieme a Guido da Montefeltro (padre di Buonconte da Montefeltro) . Nel 1287 si unì per sempre ai ghibellini di Arezzo e partecipò alla difese della città nel corso dei vari assedi che Arezzo fu costretta a subire da parte dei guelfi senesi e fiorentino. Nel 1288 fu capitano delle truppe armate ghibelline aretine che sconfissero brutalmente l’esercito guelfo senese nei pressi di Pieve
al Toppo nella famigerata battaglia ricordata pure da Dante Alighieri nella Divine Commedia , le celebri “Giostre del Toppo” del 1288.
L’anno successivo combattè la battaglia di Campaldino. I resoconti tradizionali raccontano che Guglielmo Pazzo decise di proteggere lo zio Ubertini scambiandosi i colori e le insegne di guerra. Attirando così su di lui il grosso degli attacchi Guelfi. Entrambi tuttavia furono uccisi in battaglia. La guerra tra ghibellini e guelfi finì con la vittoria di quest’ultimi. L’esercito fiorentino numericamente il doppio di quello aretino. Si parla di 8.000 ghibellini contro circa 12.000 guelfi, per una battaglia che a detta di molti storici sancì forse la fine del medioevo. Ma con essa, pur stabilendo una vittoria dopo una lunghissima e truce battaglia.
E solo dopo l’entrata in battaglia della riserva pistoiese di Corso Donati (tra l’altro la riserva alleata ghibellina dei Conti Guidi di Poppi, comandata dal conte Guido Novello, decise di rientrare nel Castello e non combattere in quando la sorte oramai era segnata, le richieste di entrare in battaglia furono molteplici, ma inascoltate) poi l’arrivo di un violento temporale al calare dell’oscurità cessò le ultime resistenze aretine e le ostilità cessarono. Alla fine della battaglia , l’esercito guelfo dopo aver cinto d’assedio per sette giorni Bibbiena, e la conquista e prosegue la sua marcia trionfante verso Arezzo, credendo di farne un sol boccone, ma Arezzo non cadde.
Verso l’inizio del 1400, il grosso della famiglia Pazzi risiedente in Firenze, arricchitasi grazie ai commerci, entrò ben presto in contrasto con i Medici, che però per il maggior peso economico e politico vincevano la loro concorrenza.
La rivalità con i Medici culminò verso il 1478, a seguito della famosa Congiura dei Pazzi. Il cui fallimento determinò la guerra tra Firenze ed il Papato, fiaccando definitivamente la potenza della famiglia.
Fu così appunto che nel 1478 per gelosia di potere nei confronti di Lorenzo e Giuliano De’ Madici. Attorno a Francesco, che ne fu il capo, e Iacopo, che ricopriva la carica di gonfaloniere, si raccolsero altre grandi famiglie e l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati. Il Papa Sisto IV la assecondò .
Il tentativo non riuscì : i congiurati, nella chiesa di Santa Maria del Fiore, colpirono a morte soltanto Giuliano, e il popolo, contro le speranze, insorse a favore di
Lorenzo . L’arcivescovo e i due Pazzi furono impiccati e il Papa lanciò l’interdetto contro Firenze.
Ne nacque una guerra, col concorso di Ferdinando , re di Napoli, per il pontefice e di Milano e Venezia per i Medici.
La pace fu composta nel 1480 grazie all’abilità diplomatica di Lorenzo il Magnifico.
Ad Arezzo nel 1497 venne da Firenze il Vescovo Cosimo De’ Pazzi. Letterato. Il governo fiorentino lo aveva inviato
in ambasceria più volte presso re e pontefici. Venne eletto vescovo di Arezzo nel 1497. Con il primo atto volle ingraziarsi il Capitolo della Cattedrale, ormai fatto più fervoroso, ottenendogli da Alessandro VI nel 1498 la cappa distoffa paonazza e di pelli di vaio: anche perché si potesse distinguere da quello della Pieve. E perfino lo zucchetto.
Potenziò i lavori per il completamento della Cattedrale, ma un aspecifica azione pastorale la svolse dopo la rivolta aretina del 1502. La prostrata e sfruttata città di Arezzo dall’avido governo fiorentino fomentò la rivolta violenta in più volte: 1409, 1431, 1440, 1498, , ma la rivolta del 1502 guidata da Vitellozzo Vitelli fu la più grave di tutte.
Quanto il Vescovo Cosimo fosse ligio a Firenze lo dimostra il fatto che mentre lui era il capo spirituale, suo padre Guglielmo, in Firenze era il Commissario della Repubblica fiorentina. Ambedue, padre e figlio, dovettero asserragliarsi nella Fortezza; ed ambedue dovettero conoscere la prigionia a Siena.
Domata la rivolta Cosimo tornò ad Arezzo e siccome il clero si era sottratto all’obbedienza, nel 1503 convocò uno sinodo e dette delle Costituzioni. Nel 1508 Giulio II richaimò per ricoprire l’arcivescovado in Firenze proprio a Cosimo De Pazzi. Consegnando così la cattedrale di Arezzo a Card. Raffele Riario. Cosimo De Pazzi mori a Firenze nel 1513 e fu sepolto nella cattedrale fiorentina.
In seguito parecchi dei suoi membri della casata Pazzi appoggiarono il regime mediceo come Alamanno (1501-1573) che dopo aver difeso Firenze assediata (1530) fu nominato comandante delle milizie ducali e poi (1556) fatto senatore.
|
Chiesina di Sant' Antonio Abate
Situata nel cuore di Saione, in via Vittorio Veneto, la Chiesa di S. Antonio abate in Saione appare oggi completamente immersa nel tessuto urbano laddove, al tempo della sua costruzione, erano distese di pascoli e terreni agricoli.
Dal 1900 è custodita dall'Ordine dei Frati Minori Francescani ed è attualmente sotto la giurisdizione canonica della Parrocchia di S. Francesco Stimmatizzato di Saione.
É una delle principali chiese devozionali di Arezzo, luogo privilegiato di preghiera e raccoglimento per i parrocchiani di Saione, nonché chiesa ufficiale del Quartiere di Porta Santo Spirito. Qui infatti il popolo giallo-blu celebra ogni anno il rito dell'offerta del cero votivo ed è stata spesso luogo della cerimonia della benedizione dei Giostratori in occasione della Giostra del Saracino.
CENNI STORICI. La Chiesa fu fondata verso la fine dell'alto medioevo, attorno all'anno 890 circa, quando le reliquie di S. Antonio abate, da Alessandria d'Egitto, vennero trasportate a Vienne in Francia.
Fu completamente ricostruita nel corso del XII secolo in piena epoca romanica.
Nel 1777-78 fu sottoposta a considerevoli restauri che non rispettarono lo stile originario dell'edificio (vedi, per esempio, la costruzione del campaniletto a vela sulla facciata).
Nel 1900 la Provincia dei Frati Minori Francescani di Toscana acquistò la chiesetta dalla famiglia dei Centeni-Romani che ne aveva fatto il proprio sepolcreto.
Nuovamente restaurata nel primo decennio del '900, fu dal 1926 al 1933 Chiesa Parrocchiale provvisoria del rione di Saione.
Ulteriori restauri avvennero nel 1953 allorquando furono effettuati gli scavi archeologici che riportarono alla luce le antiche fondamenta romaniche, tuttora visibili nella parte absidale e lungo le pareti della navata.
Ultimo ed importantissimo il grande restauro conservativo terminato nel maggio del 1986 che ha restituito la nostra chiesina al suo antico splendore di tempio romanico.
ESTERNO. L'esterno appare armonioso e ben proporzionato, schietto esempio di arte romanica. L'abside, le finestrelle ed il portale ci riportano senz'altro al secolo XII. Il campaniletto a vela della facciata è invece settecentesco.
INTERNO. L'interno è a pianta rettangolare in unica navata con abside semicircolare rivolta ad oriente. L'altare è una grossa mensa di pietra che poggia sull'antico cippo romanico.
Al centro della chiesina, lungo la parete sinistra domina il “Cristo di Saione”, scultura lignea a grandezza naturale raffigurante Gesù caduto sotto la croce, opera drammatica e suggestiva di Luigi Chiari del 1804.
Sempre sulla parete sinistra, tavola di S. Antonio Abate, opera di Venanzio Bolzi del 1933.
Nella parete di fondo e lungo le pareti laterali affreschi di Liborio Ermini del 1777-79 (storie di S. Francesco e di S. Antonio abate, oggi purtroppo quasi del tutto perduti).
LEGGENDE. Una serie di leggende popolari mettono in relazione la chiesetta di S. Antonio abate con la presenza ad Arezzo di S. Francesco.
Nel 1224, mentre si recava alla Verna ove avrebbe ricevuto il dono delle stimmate, il poverello di Assisi sarebbe stato ospite della nostra chiesina. In questo luogo il santo avrebbe predicato alla popolazione aretina e sarebbe inoltre avvenuto il celeberrimo episodio della cacciata dei diavoli dalla Città.
CURIOSITÁ. Sopra l'architrave del portale è scolpita la seguente iscrizione:
ECCLESIAM HANC
S. ANTONII ABB.
SQUALORE AC SENIO CONLABENTEM
PAULUS BACCI CAN. S. EC. CATH. AR.
AERE SUO
RESTITUTAM ORNAVIT AN. MDCCLXXVIII
TRADUZIONE: Questa Chiesa di S. Antonio Abate, fatiscente per squallore e vecchiezza, Paolo Bacci Canonico della Santa Chiesa Cattedrale Aretina a sue spese abbellì, dopo averla restaurata, nell'anno 1778
|
Territorio: settore sud-ovest della città di Arezzo. Al quartiere sono inoltre associate le antiche Cortine di Porta del Borgo, la Visconteria del Piano di Arezzo e la Visconteria della Valdambra fino all’Arno.
|
CONSIGLIO DIRETTIVO 2022 - 2024 Jacopo Acquisti, presidente Ezio Gori Giacomo Magi Gabriele Fratini, cassiere Fabio Niccolini Vanessa Vespertini Mazzierli Matteo
Il
Circolo dei Ghibellini fu inaugurato il 24 maggio del 2003; allora dal
Presidente Marco Geppetti, Edo Gori V.Presidente, Marco Cerini segretario,
Roberto Gomitolini cassiere, Marco Bichi, Roberto Bisaccioni e Andrea Nicchi
consiglieri.
La realizzazione del Circolo fu possibile grazie ad un notevole sforzo economico da parte del Quartiere ed alla grande disponibilità dell' amministrazione Comunale la quale ci mise a disposizione il locale dell' ex pizzeria nel Bastione di Ponente e della Circoscrizione di Saione che, con un notevole contributo finanziario rese possibile subito i lavori di ristrutturazione consentendo in tempi brevi la sua apertura.Il contributo economico ci arrivò grazie all' impegno dimostrato dal presidente Renato Peloso e del suo Consiglio.
|
|