ALBERGOTTI
Appartengono a quel ceto "capitaneale" di Arezzo che poco dopo il Mille ha un ruolo fondamentale nella nascita del Comune. Giungono a posizioni apicali nel Trecento quando danno più volte il Vescovo alla città e quando, dopo aver vanamente provato ad impossessarsi della Signoria di Arezzo, portano durevolmente la città sotto la dominazione fiorentina. Da allora si mantengono ai vertici della vita politica municipale fin quasi ai giorni nostri, passando indenni attraverso i più diversi regimi. Famiglia particolarmente numerosa, ha palazzi sparsi per tutta la città.
AZZI
Secondo la tradizione gli Azzi hanno una comune origine longobarda con gli Este di Ferrara. Intorno al Mille li troviamo radicati a sud di Arezzo, dove i loro possessi si intrecciano con quelli della potente abbazia benedettina di Santa Fiora. Appartengono alla famiglia un vescovo di Arezzo, un mitico podestà del Comune e la leggendaria figura di Ippolita, che difese Arezzo dopo la rotta di Campaldino. Benché ghibellino e "magnatizio", il consortato giunge fino all'inizio dell'Ottocento, quando dal suo ceppo si originano le due famiglie degli Azzi-Vitelleschi e dei Vitelleschi-Azzi.
CAMAIANI
E' una famiglia di mercanti-imprenditori, originaria di un casolare vicino ad Arezzo. Guelfi e "popolari", i Camaiani giungono ai vertici della vita politica cittadina alla metà del Trecento, al tempo della prima dominazione fiorentina. All'inizio del Cinquecento sono tra i protagonisti delle ribellioni filomedicee di Arezzo a Firenze. Nello stesso secolo escono dal loro seno importanti figure di ecclesiastici, fra cui un vescovo di Fiesole e di Ascoli. Si estinguono alla metà del Seicento, ma il loro nome sopravvive in quello della famiglia Guelfi-Camaiani.
GUASCONI
Fra le diverse ipotesi formulate sulla loro origine, la più accreditata li vuole originari di Arezzo e ad essi apparterrebbe il Sant'Andrea martirizzato nel quarto secolo, che dà il nome ad un Quartiere della città. Arricchitisi con il prestito del denaro ed il commercio dei panni, sono una delle principali famiglie di quel "popolo della media gente guelfa" che ha un ruolo fondamentale nell'Arezzo del Trecento. Il tracollo del banco e l'eccessiva frammentazione sono le cause del collasso che colpirà la famiglia durante il XV secolo.
TOLOMEI DEL CALCIONE
La famiglia Tolomei è un’antica famiglia di origine senese. Di parte ghibellina. L’origine del nome viene addirittura legata all’egiziana Dinastia Tolemaica, come appunto millantato in epoca medievale dalla famiglia , i cui antenati giunsero probabilemente in Italia con Carlo Magno.
La leggenda mitologica vuole che dall’unione di Gaio Giulio Cesare P.M. della Repubblica Romana e Cleopatra VII Regina d’Egitto ebbe natale Tolomeo XV detto Cesarione unico figlio maschio di Cesare, erede al trono Imperiale Romano.
Dopo la morte di Cesare venne portato davanti al Senato Romano da Marco Antonio fedele generale ponendolo come successore per linea diretta della Gens Iulia (Antichissima Famiglia per la quale si attribuisce la fondazione di Roma attraverso Romolo) e avente di diritto il trono Imperiale Romano. Ma il Senato Romano non avendo mai riconosciuto il matrimonio di Cesare con la Regina Cleopatra pone Ottaviano nipote di Cesare e figlio adottivo come Imperatore.
Ottaviano lo condanna a morte per paura di una sua ritorsione in età adulta, ma Marco Antonio fece uccidere il cugino Tolomeo XV per le sue uguale somiglianze e lo nascose nella maremma toscana dove in seguito fonderà la dinastia che, per alcuni studiosi è ritenuta reale, dei Tolomei abili banchieri del medioevo.
Il primo appartenente alla famiglia di cui si hanno notizie certe è Baldistricca nel 1121: Nel XII secolo erano una ricchissima famiglia di mercanti a Siena e a quest’epoca risale il famoso Palazzo Tolomei di Siena.
In seguito alle tormentate vicende politiche senesi , nelle quali la famiglia era molto attiva, patteggiando molto vigorosamente per la parte ghibellina, per diverse volte nei secoli, furono esiliati dalla città di Siena. Ed ecco perché troviamo appounto la una casata Tolomei nell’aretino , proprio ai confini con i territori della Valdichiana senese-aretina. Ovvero nel Calcione, nel pressi di Lucignano .
Fa parte di questa nobile famiglia la mitica figura di Pia De’ Tolomei. Figura femminile ricordata da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Descritta nel Canto V del Purgatorio come una donna molto dolce la quale è stata uccisa da suo marito.
PAZZI DEL VALDARNO
La famiglia Pazzi, di origine fiorentina di Fiesole. Il primo ceppo di questa casata fu guelfo. Risalente secondo la leggenda al condottiero Pazzo di Riniere. Tranne una parte della famiglia, distaccandosi dal resto della parentela, di parte guelfa, nel periodo medievale si schierò invece , in maniera a dir poco decisa dalla parte ghibellina, ed andò a risiedere nel Valdarno aretino.
E si prese a cuore le vicissitudini politiche della città di Arezzo. I Pazzi della fazione
ghibellina si imparentarono con gli Ubertini (anch’essa gloriosa e potente casata ghibellina). Il castello di Laterina e la casa-castello di Poggitazzi furono loro roccaforti. Inoltre è storicamente documentato che certo Iacopo de Pazzi combattè contro i fiorentini nella battaglia di Montaperti (1260).
Ed è in questo contesto storico qui che si inserisce un personaggio molto importante della casata Pazzi di Valdarno.
Ossia Guglielmo De’ Pazzi di Valdarno (prima del 1230-Campaldino di Poppi, 11 giugno 1289). Detto Guglielmo Pazzo, il quale fu condottiero italiano di parte ghibellina. Era figlio di Ranieri de Pazzi, anche lui famoso capitano e condottiero della parte ghibellina, nonché vicario imperiale della parte ghibellina. Ed altresì legato da stretta parentela con il Vescovo e Signore d’Arezzo Guglielmo degli Ubertini. In quanto Guglielmo Pazzo era nipote del Vescovo Ubertini. Nel 1268 i Pazzi erano in guerra contro i fiorentini per il possesso dei vari territori valdarnesi. Truppe guelfe in arrivo da Firenze assalirono i castelli di Poggitazzi, Montefortino e Ristruccioli- Dopo lunghissimi assedi e violente battaglie i fiorentini furono sconfitti e costretti a lasciare l’intero valdarno in mano aretina.
Queste esperienze di combattimento fecero acquisire la fama tra i ghibellini di Guglielmo Pazzo, il quale ne divenne capitano. Si recò in Romagna per combattere al fianco dei ghibellini di quei territori insieme a Guido da Montefeltro (padre di Buonconte da Montefeltro) . Nel 1287 si unì per sempre ai ghibellini di Arezzo e partecipò alla difese della città nel corso dei vari assedi che Arezzo fu costretta a subire da parte dei guelfi senesi e fiorentino. Nel 1288 fu capitano delle truppe armate ghibelline aretine che sconfissero brutalmente l’esercito guelfo senese nei pressi di Pieve
al Toppo nella famigerata battaglia ricordata pure da Dante Alighieri nella Divine Commedia , le celebri “Giostre del Toppo” del 1288.
L’anno successivo combattè la battaglia di Campaldino. I resoconti tradizionali raccontano che Guglielmo Pazzo decise di proteggere lo zio Ubertini scambiandosi i colori e le insegne di guerra. Attirando così su di lui il grosso degli attacchi Guelfi. Entrambi tuttavia furono uccisi in battaglia. La guerra tra ghibellini e guelfi finì con la vittoria di quest’ultimi. L’esercito fiorentino numericamente il doppio di quello aretino. Si parla di 8.000 ghibellini contro circa 12.000 guelfi, per una battaglia che a detta di molti storici sancì forse la fine del medioevo. Ma con essa, pur stabilendo una vittoria dopo una lunghissima e truce battaglia.
E solo dopo l’entrata in battaglia della riserva pistoiese di Corso Donati (tra l’altro la riserva alleata ghibellina dei Conti Guidi di Poppi, comandata dal conte Guido Novello, decise di rientrare nel Castello e non combattere in quando la sorte oramai era segnata, le richieste di entrare in battaglia furono molteplici, ma inascoltate) poi l’arrivo di un violento temporale al calare dell’oscurità cessò le ultime resistenze aretine e le ostilità cessarono. Alla fine della battaglia , l’esercito guelfo dopo aver cinto d’assedio per sette giorni Bibbiena, e la conquista e prosegue la sua marcia trionfante verso Arezzo, credendo di farne un sol boccone, ma Arezzo non cadde.
Verso l’inizio del 1400, il grosso della famiglia Pazzi risiedente in Firenze, arricchitasi grazie ai commerci, entrò ben presto in contrasto con i Medici, che però per il maggior peso economico e politico vincevano la loro concorrenza.
La rivalità con i Medici culminò verso il 1478, a seguito della famosa Congiura dei Pazzi. Il cui fallimento determinò la guerra tra Firenze ed il Papato, fiaccando definitivamente la potenza della famiglia.
Fu così appunto che nel 1478 per gelosia di potere nei confronti di Lorenzo e Giuliano De’ Madici. Attorno a Francesco, che ne fu il capo, e Iacopo, che ricopriva la carica di gonfaloniere, si raccolsero altre grandi famiglie e l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati. Il Papa Sisto IV la assecondò .
Il tentativo non riuscì : i congiurati, nella chiesa di Santa Maria del Fiore, colpirono a morte soltanto Giuliano, e il popolo, contro le speranze, insorse a favore di
Lorenzo . L’arcivescovo e i due Pazzi furono impiccati e il Papa lanciò l’interdetto contro Firenze.
Ne nacque una guerra, col concorso di Ferdinando , re di Napoli, per il pontefice e di Milano e Venezia per i Medici.
La pace fu composta nel 1480 grazie all’abilità diplomatica di Lorenzo il Magnifico.
Ad Arezzo nel 1497 venne da Firenze il Vescovo Cosimo De’ Pazzi. Letterato. Il governo fiorentino lo aveva inviato
in ambasceria più volte presso re e pontefici. Venne eletto vescovo di Arezzo nel 1497. Con il primo atto volle ingraziarsi il Capitolo della Cattedrale, ormai fatto più fervoroso, ottenendogli da Alessandro VI nel 1498 la cappa distoffa paonazza e di pelli di vaio: anche perché si potesse distinguere da quello della Pieve. E perfino lo zucchetto.
Potenziò i lavori per il completamento della Cattedrale, ma un aspecifica azione pastorale la svolse dopo la rivolta aretina del 1502. La prostrata e sfruttata città di Arezzo dall’avido governo fiorentino fomentò la rivolta violenta in più volte: 1409, 1431, 1440, 1498, , ma la rivolta del 1502 guidata da Vitellozzo Vitelli fu la più grave di tutte.
Quanto il Vescovo Cosimo fosse ligio a Firenze lo dimostra il fatto che mentre lui era il capo spirituale, suo padre Guglielmo, in Firenze era il Commissario della Repubblica fiorentina. Ambedue, padre e figlio, dovettero asserragliarsi nella Fortezza; ed ambedue dovettero conoscere la prigionia a Siena.
Domata la rivolta Cosimo tornò ad Arezzo e siccome il clero si era sottratto all’obbedienza, nel 1503 convocò uno sinodo e dette delle Costituzioni. Nel 1508 Giulio II richaimò per ricoprire l’arcivescovado in Firenze proprio a Cosimo De Pazzi. Consegnando così la cattedrale di Arezzo a Card. Raffele Riario. Cosimo De Pazzi mori a Firenze nel 1513 e fu sepolto nella cattedrale fiorentina.
In seguito parecchi dei suoi membri della casata Pazzi appoggiarono il regime mediceo come Alamanno (1501-1573) che dopo aver difeso Firenze assediata (1530) fu nominato comandante delle milizie ducali e poi (1556) fatto senatore.
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